Onorevoli Deputati! - In questi anni il nostro Paese, dopo una fase di crescita economica ed occupazionale che ha riguardato tutte le regioni italiane (1997-2002), vive una situazione di debolezza del sistema economico, caratterizzata da minore capacità competitiva e dinamismo. Conseguenza di questa situazione è in primo luogo il rallentamento della crescita delle regioni del Mezzogiorno che nel periodo 2001-2003 hanno visto una evidente diminuzione delle attività economiche labour intensive ed una conseguente minore crescita occupazionale rispetto alle altre regioni italiane. Un impoverimento in termini di opportunità che crea insicurezza e divide il Paese, proprio mentre l'Unione europea moltiplica gli sforzi per il raggiungimento di una maggiore coesione economica e sociale. Una situazione che rischia di innescare conseguenze di evidente gravità: il mancato pieno apporto alla crescita economica del Paese delle giovani generazioni meridionali costituisce quindi un problema primario. L'occupabilità delle giovani generazioni meridionali costituisce infatti lo snodo della crescita del sistema-Paese, che va recuperata non forzando ulteriormente le aree oggi più dinamiche, ma intervenendo evidentemente laddove la competitività dei sistemi produttivi locali è in calo e le risorse

 

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umane non trovano opportunità. Un tema di fondo che riguarda quindi non solo il Mezzogiorno, ma l'intero Paese, che, per mantenere nei prossimi cinque anni il livello di crescita del prodotto interno lordo, secondo le analisi economiche, necessita di una crescita occupazionale, nei termini di aumento del numero degli occupati, stimato in almeno due milioni di unità. Una crescita che non può non essere sostenuta da nuove ed avanzate politiche del lavoro, in grado di intervenire per avvicinare domanda ed offerta.
      Questa situazione di rischio va affrontata tenendo conto di alcuni elementi di fondo, necessari per contrastare la più generale perdita di opportunità che coinvolge le regioni del Mezzogiorno:

          il rafforzamento dei servizi e dei programmi pubblici per il sostegno alla crescita economica e sociale;

          il miglioramento degli standard e della progettazione dei servizi per l'impiego e per la formazione;

          la finalizzazione della programmazione per lo sviluppo del territorio ed i servizi sociali ad interventi per l'occupabilità e per l'imprenditorialità dei residenti;

          lo spostamento della logica dell'intervento di assistenza sociale verso misure promozionali in grado di aumentare l'occupabilità ed il rapporto tra le imprese e le giovani generazioni.

      In Europa, da anni, le misure per lo sviluppo economico nelle aree deboli affrontano in primo luogo gli aspetti relativi alle opportunità occupazionali intervenendo sul sistema di welfare e legando gli interventi per l'occupabilità delle giovani generazioni e dei disoccupati ad una attenta valutazione del fabbisogno professionale e della domanda delle imprese, rendendo più conveniente l'incontro tra domanda ed offerta (workfare). Decisivi per l'attivazione di questi interventi di «welfare to work», denominati in modo diverso nei diversi Stati membri dell'Unione europea, sono:

          la presenza di servizi per l'impiego in grado di fornire strumenti per l'orientamento e l'inserimento al lavoro;

          la definizione di programmi individuali per l'occupabilità;

          l'accesso ad una indennità (automatica, generale e sostituitiva di ogni altra integrazione salariale) durante la partecipazione al programma;

          la perdita dell'indennità in caso di rifiuto del lavoro;

          l'incentivazione all'assunzione per le imprese presenti nell'area;

          il sostegno al completamento del percorso formativo, anche al di fuori dell'area di appartenenza;

          il supporto ai programmi individuali per l'occupabilità attraverso la finalizzazione dei Fondi europei e della programmazione per lo sviluppo.

      Allo stesso modo appare evidente come la promozione di interventi per l'occupabilità debba collegarsi ad una efficace azione preventiva, che punti alla lotta alla dispersione scolastica e a consentire l'accesso ad adeguati standard formativi.
      Il fenomeno della dispersione scolastica e dell'evasione dall'obbligo formativo, non a caso, riguarda le aree più povere e con la maggiore presenza di economia irregolare. La connessione tra completamento dell'obbligo, rafforzamento dell'offerta formativa, attivazione di misure per l'occupabilità è pertanto stretto e collega decisamente gli interventi del sistema scolastico formativo alle misure di welfare promozionale.
      La presenza degli strumenti di integrazione al lavoro e degli incentivi come diritti costituisce quindi un riferimento importante, che consente ai servizi per l'impiego e alla rete per l'occupabilità presente sul territorio (servizi sociali, per le imprese, per la formazione e per il lavoro) nei Paesi europei di sostenere percentuali intorno al 50-60 per cento degli avvenuti inserimenti al lavoro, soprattutto per le cosiddette «fasce deboli».

 

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Quando i servizi per l'impiego ed i programmi per l'occupabilità permettono l'inserimento e la mediazione di più della metà delle opportunità di impiego presenti in una nazione (percentuali ancora più alte per gli appartenenti a condizioni di svantaggio) possiamo parlare di «welfare to work» realizzato.
      Una prospettiva quindi decisamente europea, che può diventare italiana solo attraverso riforme del sistema di promozione sociale e del lavoro da noi non ancora completate, dopo la prima fase di avvio con le leggi di riforma del mercato del lavoro e dei servizi per l'impiego del periodo 1997-1999. Riforme che non possono non partire dall'introduzione nel Mezzogiorno dei sistemi di intervento di welfare europeo per il lavoro e per le risorse umane.
      Negli anni scorsi infatti anche l'Italia ha provveduto alla riforma del sistema dei servizi per l'impiego e al decentramento del mercato del lavoro, attraverso interventi, sollecitati dall'Unione europea, che pongono il nostro sistema di servizi pubblici per il lavoro in modo coerente rispetto alle indicazioni dei diversi trattati e dei vertici europei sul lavoro.
      I vertici europei per l'occupazione tenuti in questi anni (in particolare i vertici di Barcellona, del Lussemburgo e di Lisbona) confermano quanto stabilito dal Trattato di Amsterdam del 1997, reso esecutivo dalla legge n. 209 del 1998, sui princìpi ed obiettivi che devono muovere le politiche del lavoro degli Stati membri: collegare i servizi per l'impiego alla realizzazione di una efficace e decentrata rete di politiche attive del lavoro in grado di intervenire sul deficit di occupabilità di chi cerca lavoro.
      Una impostazione chiara e netta: passare dal finanziamento della disoccupazione ad interventi e strumenti volti ad aumentare il numero di occupati. Dal welfare al «welfare to work».
      Una linea di intervento che nelle nazioni europee in cui questa impostazione è stata seguita con più coerenza e decisione (per esempio Francia, Inghilterra, Irlanda e Spagna) ha determinato negli anni scorsi le performance più significative per quanto riguarda l'aumento dell'occupazione. Non a caso invece nei Paesi europei in cui in questi anni minore è stato lo sforzo per adeguare le politiche nazionali a questi obiettivi, minore è contestualmente stato l'impatto in termini di creazione di opportunità degli interventi realizzati.
      Tra i motivi che non hanno consentito all'Italia di godere fino in fondo in termini di creazione di occupazione dei vantaggi derivanti da un risanamento economico rafforzato da efficaci servizi per l'impiego, oltre ai ritardi delle riforme (il nostro sistema di servizi pubblici per l'impiego, per esempio, è realizzato con un ritardo di oltre vent'anni rispetto alla media europea) va senz'altro considerata l'assenza di un efficace sistema di programmi pubblici concertati per l'inserimento lavorativo e di una indennità generale e non contrattata destinata ad accompagnare il cittadino nella ricerca di lavoro.
      La combinazione tra accesso ad indennità di inserimento, generale e per condizione individuale, ed effettiva partecipazione a programmi locali di ricerca ed inserimento lavorativo costituisce da anni il mix che consente in molti Paesi europei di realizzare azioni efficaci per l'occupabilità (per esempio le mission locale in Francia e gli skill council in Gran Bretagna).
      Il sistema si basa sulla definizione e realizzazione a livello locale, sulla base di parametri nazionali e di assistenza regionale, di iniziative per la formazione, la ricerca e l'inserimento lavorativo che reggano sull'erogazione ai partecipanti ai programmi di intervento di una indennità di inserimento. La subordinazione nel sistema francese ed inglese (definita negli anni novanta) dell'accesso all'indennità di disoccupazione alla effettiva partecipazione a programmi di questa natura rende esplicita la funzione pubblica del sostegno alla ricerca di occupazione. L'efficacia di questo approccio ha, tra l'altro, consentito al Governo Blair di ottenere quale risultato nel 2001 il tasso più elevato di occupati della storia inglese.
 

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      Il nostro ordinamento consente, a fronte del processo avviato dalle riforme Bassanini e Treu del 1997, confermato in parte anche dalla legge n. 30 del 2003, di impostare interventi in grado di realizzare anche in Italia questo sistema di intervento, come conferma quanto stabilito dal decreto legislativo n. 181 del 2000, che costituisce il primo tentativo nel nostro Paese di realizzare misure di «welfare to work».
      La mancata riforma degli ammortizzatori sociali (in particolare: la mancata attuazione di quanto previsto dall'articolo 45 della legge n. 144 del 1999 per l'indennità di disoccupazione e gli incentivi al lavoro), l'assenza di una significativa indennità generale destinata anche ai giovani e agli inoccupati (chi non proviene da attività lavorativa) e l'assenza di una strategia comune tra le politiche del lavoro decentrate alle regioni e alle province (conseguenza di una poco efficace azione di coordinamento realizzata in questi mesi dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali) determinano tuttavia l'assenza nel nostro Paese di una rete pubblica in grado di promuovere politiche attive del lavoro a livello locale.
      Questo produce, tra l'altro, conseguenze negative per quanto riguarda:

          l'integrazione tra le politiche per la formazione, il lavoro e lo sviluppo;

          l'efficace utilizzo a livello locale delle risorse della programmazione regionale;

          l'inefficacia degli interventi realizzati dai servizi per l'impiego.

      Allo stesso modo l'azione preventiva volta al completamento dell'obbligo formativo è spesso resa debole nelle aree più povere del Paese dalla presenza di un contesto fatto di economia sommersa e di lavoro irregolare e dall'assenza di programmi per la lotta alla dispersione scolastica e per il completamento dell'obbligo.
      È quindi opportuno promuovere, nell'ambito dei programmi per l'inserimento lavorativo e per l'occupabilità, specifici programmi formativi per il recupero dell'obbligo e contro la dispersione rivolti ai giovani che non abbiano assolto all'obbligo formativo previsto dalla legge, la cui partecipazione sia sostenuta dall'erogazione di una minima forma di sostegno in grado di consentire al giovane, spesso proveniente da contesti familiari disagiati e da condizioni di povertà, di percepire un reddito minimo fino al completamento del programma formativo previsto per l'assolvimento dell'obbligo e all'inserimento lavorativo.
      L'intervento della presente proposta di legge di iniziativa popolare è quindi assolutamente in linea con le novità che lentamente il nostro legislatore sta introducendo per garantire ai disoccupati servizi di orientamento e l'accesso a programmi di inserimento al lavoro e si pone quale obiettivo quello di collegare, in via sperimentale nelle regioni del Mezzogiorno, la funzione dei nuovi servizi per l'impiego alla realizzazione di programmi di inserimento al lavoro che poggino sull'erogazione di una indennità di partecipazione.
      È essenziale infatti collegare la partecipazione a questi programmi ad una forma di indennità di incentivazione (nella forma di un bonus per la partecipazione e la disponibilità), come avviene nei maggiori Paesi europei, indennità concessa sulla base di due requisiti: l'assenza di un lavoro e la partecipazione attiva a programmi per la ricerca di lavoro. In questo modo si intende peraltro attivare verso la promozione di servizi per l'occupabilità e la ricerca attiva di lavoro i nuovi servizi per l'impiego, che sono chiamati a queste finalità dalla normativa di riforma, il decreto legislativo n. 469 del 1997, e che nel Mezzogiorno non risultano ancora in grado di offrire idonei servizi di accompagnamento al lavoro. Inoltre l'attivazione dei programmi di politica attiva e per l'occupabilità (basati su piani individuali di ricerca attiva del lavoro promossi e verificati tramite il servizio orientamento del centro per l'impiego di zona) permette di finalizzare in modo idoneo le risorse assegnate dal Fondo sociale europeo per l'occupabilità nelle regioni, di cui agli obiettivi 1 e 2 di cui al regolamento (CE)

 

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n. 1260/1999 del Consiglio, del 21 giugno 1999, e non del tutto impegnate dalle regioni meridionali. Per i giovani che non abbiano assolto all'obbligo formativo vengono inoltre promossi programmi specifici, che prevedono l'erogazione di un bonus formativo di minore importo rispetto a quanto previsto per il disoccupato che abbia completato l'obbligo.
      La logica dell'intervento è quindi decisamente promozionale: animare gli interessi di tutti i soggetti che ruotano intorno al mercato del lavoro, sostenendo la convenienza all'occupabilità ed aggredendo le «pseudo convenienze» del lavoro sommerso ed irregolare. Si tratta inoltre di servizi e di strumenti che si promuovono anche per affermare diritti in grado di limitare la logica diseconomica e diseguale della raccomandazione e dei rapporti familiari come principale veicolo di inserimento al lavoro. Servizi promozionali e, nel caso della lotta alla dispersione scolastica, con funzione decisamente preventiva.
      Si sperimenta quindi nel sud un sistema di politica attiva con indennità di partecipazione a chi si renda effettivamente disponibile alle iniziative per l'occupabilità e alle iniziative per l'assolvimento dell'obbligo formativo; passando in questo modo da politiche passive al finanziamento di programmi pubblici e locali di inserimento al lavoro e per la partecipazione alle attività di formazione e di inserimento.
      Una sperimentazione che dovrà essere resa strutturale dopo il primo triennio ed in riferimento alla riforma del Fondo sociale europeo (attesa per il 2006) e alla necessaria riforma di tutto il sistema degli ammortizzatori sociali e degli incentivi al lavoro.
      Il diritto al bonus è quindi individuale ma subordinato alla effettiva partecipazione ad un percorso pubblico, organizzato a livello locale dal sistema dei servizi per l'impiego su standard europei e con assistenza regionale e finanziamenti nazionali e regionali.
      Il sistema di intervento costituisce una azione per ora limitata nelle aree del Paese con maggiore difficoltà sia nelle opportunità di impiego che nella funzione dei servizi pubblici, coerente con le indicazioni dei vertici di Lisbona e di Barcellona e con la riforma dei servizi per l'impiego e degli ammortizzatori.
      Vanno inoltre considerate le norme che tendono altresì a realizzare i seguenti obiettivi:

          favorire una maggiore armonia tra i diversi livelli istituzionali ed amministrativi destinatari degli interventi di politica del lavoro;

          finalizzare in modo puntuale e coerente le funzioni delle commissioni regionali tripartite e delle agenzie regionali, quali enti strumentali per l'assistenza tecnica, senza confondere o duplicare funzioni;

          realizzare strumenti preventivi e promozionali contro la dispersione scolastica e per garantire l'obbligo formativo;

          strutturare, nell'ambito del sistema pubblico, un sistema di verifica costante delle competenze e delle opportunità lavorative e formative;

          favorire nella progettazione degli interventi il rapporto tra strutture pubbliche e private;

          provvedere ad incentivare l'assunzione del partecipante ai programmi attraverso un bonus per il datore di lavoro in caso di assunzione a tempo indeterminato.

      Si tratta quindi di una misura di promozione sociale chiamata ad attivare i servizi per il lavoro e l'occupabilità, a finalizzare al meglio la spesa pubblica, dando maggiore serenità alle famiglie, fiducia in chi cerca lavoro ed opportunità e creando convenienza per le imprese (che in questo modo trovano incentivi, preselezione, formazione).
      Va infine considerato come per il finanziamento di questo intervento, che viene avviato in via sperimentale per una durata triennale, per poi costituire una componente strutturata del nostro sistema

 

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di promozione sociale, una parte consistente delle risorse derivi, per quanto riguarda la progettazione e la realizzazione di programmi di formazione, ricerca ed inserimento, dalle risorse attribuite alle province per i servizi per l'impiego e le politiche attive del lavoro, direttamente dalla legge finanziaria 2002, legge n. 448 del 2001 (con successive proroghe della misura) ed indirettamente dalle ingenti risorse attribuite dalla programmazione regionale attraverso i programmi operativi regionali per la progettazione delle misure relative all'occupabilità e alla formazione (risorse dai Fondi strutturali dell'Unione europea, in particolare del Fondo sociale europeo).
      Per quanto riguarda il finanziamento dell'indennità di inserimento, una significativa quota parte per i disoccupati viene determinata dalle risorse che verrebbero altrimenti erogate nella forma di indennità ordinaria di disoccupazione e dalla compensazione delle eventuali forme di integrazione salariale. La scelta, inoltre, di introdurre per la copertura finanziaria un intervento sull'imposta di successione evidenzia la volontà di premiare i comportamenti attivi verso il lavoro rispetto alla logica della rendita patrimoniale.
      Quanto previsto da questa proposta di legge consente quindi una forte accelerazione del nostro sistema pubblico del lavoro verso la promozione di interventi di politica attiva e per favorire l'aumento dell'occupazione e dell'occupabilità. La bassa percentuale di occupati in forma regolare rispetto alla popolazione presente, soprattutto femminile, e la presenza di forti situazioni di lavoro sommerso costituiscono infatti pesanti limiti ed ostacoli allo sviluppo del nostro Mezzogiorno, che questo intervento può affrontare in chiave decisamente europea.
 

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